mercoledì 9 novembre 2011

Perché io valgo


C’è la crisi, ci si rifugia tra le complici carni domestiche, le quali a non saper cosa pensare sono solleticate da qualche tempo da sollecitazioni mignottesche lessicalmente ( e pietosamente) traslate nel burlesque (spogliarello) o nello shaping (un tempo biancheria contenitiva delle nonne).
Solo incidentalmente, body e reggicalze vengono incontro alle esigenze di chi, come la scrivente soffre di intolleranze e allergie varie per cui il collant provoca fastidiosissimi rodimenti di chiappa (non metaforici), insopportabili pruderie in zona panza, antiestetici effetti salsiccia sul girovita, inequivoci segnali depressivi all’indosso la mattina.
Si pensava di ovviare con le autoreggenti, le quali tuttavia, sempre su chi scrive, hanno provocato in tempi lontani un particolare, non preventivato, effetto allergico per la presenza del silicone antiscivolamento, con comparsa di enormi bolloni sulle cosce e inizio di sintomi inequivoci da shock anafilattico.
Si è dunque ripiegato sulle parigine (calzettoni alti ad evitare il noto effetto anticoncezionale del gambaletto) sotto i pantaloni, e sul desueto oggetto per estimatori chiamato reggicalze, che risolve i problemi sopradetti instaurandone tuttavia altri come lo smadonnamento mattutino per allacciare i gancetti e il gelo del sottochiappa nelle giornate invernali.
Purtuttavia, la sagace analisi del mercato sovviene alle complicanze del sistema anni ‘50’, e si inventa la culotte col reggicalze incorporato, ampiamente pubblicizzato dal cartellone ammiccante quanto dalla commessa con l’unghia assassina.


E una se la compra, la culotte, non sia mai ci si opponga al progresso della tecnica.


Se la compra più volte, di varie marche e misure, per ovviare ad un fastidioso incoveniente, ovvero che la culotte, portata giù dalla calza, cala, e con essa cala tutto l’ambaradam, e tu rimani con le chiappe di fuori nel bel mezzo del Circo Massimo.
E ci rimani così, all’improvviso, senza avvisaglia alcuna, con l’alternativa agghiacciante di tirarti su calza e mutanda al semaforo, davanti alle macchine in corsa, o di farti fino all’ufficio a passettini per non far scendere la mutanda al di sotto della coscia e non arrivare all’ascensore con la stessa drammaticamente scesa alla caviglia.
Basterebbe, qualche volta, riflettere sul fatto che quello che hai di sotto serve anche per uscire di casa, non solo per deliziare le altrui fisime, e poi tutto s’aggiusta.

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